Il regime alimentare umano è notevolmente cambiato nel corso della sua evoluzione.
Durante il Neolitico sono stati introdotti progressi considerevoli in tema di alimentazione: l’uomo, infatti, passa da una società in cui a dominare vi era la figura del cacciatore/raccoglitore (Paleolitico) all’età della domesticazione delle piante e degli animali.
La diffusione dell’agricoltura e degli allevamenti comportò un forte e costante aumento demografico e la crescita di villaggi permanenti sempre più allargati. Tuttavia insorsero alcune problematiche come ad esempio malattie prese dagli animali addomesticati e facilmente trasmesse a causa delle pessime condizioni igieniche. Inoltre, le diete basate principalmente sui cereali, ad esempio, aumentarono immediatamente i casi di carie.
Va ancora osservato che gli animali allevati hanno, rispetto a quelli selvatici, una più ampia disponibilità, ma una minore varietà di cibo. Ciò di fatto si traduce in un incremento complessivo di acidi grassi saturi nelle loro carni. Nutrirsi di ciò vuol dire, dunque, assimilare un sovraccarico di lipidi.
Sembra chiaro, a questo punto, che dal Paleolitico ad oggi, i cambiamenti nella dieta umana hanno inficiato sullo sviluppo del nostro DNA il quale non si è evoluto altrettanto velocemente quanto le nuove abitudini alimentari. Non a caso si sono sviluppate tutta una serie di patologie correlate all’alimentazione quali: obesità, diabete, ipertensione (a causa, per esempio, dell’introduzione del sale nella cucina, etc…).
Per spiegarci tutto questo, nel corso degli anni ’60, è stata introdotta la teoria del Thrifty Genotype (o Genotipo Frugale).
Secondo quest’ottica, il nostro DNA è stato selezionato milioni di anni fa per sopravvivere alle condizioni estreme, ossia in carenza di nutrienti. Infatti, il nostro corpo possiede un’alta efficienza di conservazione delle calorie ed è in grado di ottimizzare efficacemente il consumo di glucosio.
Sebbene ciò abbia costituito, milioni di anni fa, un vantaggio evolutivo necessario per la sopravvivenza del genere umano, oggi è sconfinato nell’introduzione di un profilo insulino-resistente e quindi, dato l’odierno elevato consumo in zuccheri raffinati, in diabete mellito di tipo 2.
Ciò evidenzia che non esistono le diete (intese come percorso dimagrante) miracolose, quelle che basta farle una volta e non ci si pensa più. Purtroppo è scritto nel nostro DNA: se sì è destinati a metter su peso, il nostro corpo lo farà finché viviamo.
La strategia più efficace, quindi, resta solo quella di imparare realmente a mangiar sano, senza consumare di più rispetto al nostro dispendio energetico e dedicarsi regolarmente all’attività fisica, ad esempio, rappresentata dal semplice fare le scale.